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DALL'ALTRA PARTE

Sempre insieme. Nel buio, nell’attesa, nel rumore, nei non so, nella paura, nella speranza, nella buona e nella cattiva sorte. Sempre insieme, te lo giuro. Giuro su questa tazzina, su questo tozzo di pane e questo poco d’acqua, che non permetterò al tempo di separarci. Giuro sulla mia pelle, sulle mie mani e le mie labbra. Sempre insieme, ovunque saremo. Da questa o dall’altra parte. E allora tu mi dici…invecchieremo insieme. E io ti dico...ringiovaniremo insieme. Sulla mia pelle, sulle mie mani e le mie labbra. E su ogni altra cosa, io giuro. (Materiali di scrittura di scena | S. Battaglio)

 

Ideazione, scrittura e regia Silvia Battaglio

Creazione liberamente ispirata a Dall'altra parte (Ariel Dorfman)

Interpretazione e composizione scenica Silvia Battaglio e Amina Amici

Disegno sonoro e materiali di scena Silvia Battaglio

Collaborazione alla messa in scena Stefano Mazzotta

Con la complicità di Valeria Sacco

Disegno luci Tommaso Contu

Produzione Zerogrammi

Spettacolo vincitore 'PREMIO DRAMMATURGIA CONTEMPORANEA E TEATRO DI FIGURA - OTELLO SARZI'

Coproduzione Fondazione Otello Sarzi in partenariato con Fondazione I TEATRI di Reggio EmiliaERT Emilia Romagna Teatro FondazioneFTS Fondazione Toscana Spettacolo,  DRAMMA.IT, Teatro Akropolis, UNIMA Italia

Con il supporto di Teatro Akropolis e Teatro Area Nord nell'ambito del Progetto CURA

In collaborazione con TAD Residency Contemporary Locus, TTB Teatro Tascabile di Bergamo, FDE Festival Danza Estate

Con il sostegno di TAP Torino Arti PerformativeRegione PiemonteMIC Ministero della Cultura

Nella nuova creazione di Silvia Battaglio, la qualità marionettistica del vocabolario del movimento ha un effetto fenomenologico molto potente e aggiunge differenti livelli di significato: la metafora figurativa è ricca e articolata. Si avverte un senso visivo di forze, come corde invisibili che attivano le danzatrici e i movimenti conferiscono ai corpi umani un senso perturbante. Queste "marionette" oscillano tra la connessione con la quotidianità del corpo e l'assurdità dei poteri. Non si tratta di una danza con le maschere ma di una danza coreografata in modo congiunto con gli oggetti. Il mascheramento dei volti delle danzatrici mediante espressioni "felici" ci parla con forza della sensazione legata alla fatica di essere costretti a conformarsi. E’ sorprendente che in uno spettacolo così minimale, gli oggetti riescano a diventare ‘corpi’ pieni di storia. (Felice Amato | BOSTON UNIVERSITY COLLEGE OF FINE ARTS)

 

È uno spettacolo di rara finezza e di emozionante minimalismo. Quest'ultimo può essere un ossimoro, ma Silvia Battaglio riesce a realizzarlo, con una recitazione impeccabile e creando una plastica fluida e perfettamente integrata nell'ambiente scenico e persino fonico. Da non perdere. (Franco Perrelli | UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BARI)

Per aver saputo sviluppare un innovativo discorso scenico di rimescolamento e fusione di linguaggi teatrali all'interno dei quali il teatro di figura e l'uso delle maschere ingegnosamente intrecciato alla tecnica del Teatro Danza, può trovare una sistemazione singolarmente efficace, con tratti di vera suggestione poetica attraverso la quale la tonalità fiabesca rintraccia i termini e i tempi di un dolore profondo ed universale, il dolore della separazione, del distacco e della morte. Così lo spettacolo riesce a intensamente valorizzare sulla scena un testo aspro e profondo come quello di Ariel Dorfman potendo così leggere la più tragica attualità (i confini e la guerra) dentro valori universali e affettivamente condivisi, e con questo mettendola a disposizione dello sguardo di tutti, oltre le generazioni e le età anagrafiche. Tutto ciò grazie ad un uso creativo della maschera, degli oggetti e della musica di scena trasfigurati in segni fortemente simbolici della narrazione, cui il corpo con i suoi movimenti dona significante matericità, e con un utilizzo rinnovato della metafora drammaturgica. Lo spettacolo è dunque parso rispondere in maniera adeguata alla ricerca di un rinnovamento drammaturgico, con testi nuovi e significativi, e linguistico del teatro di figura cui la Fondazione Famiglia Sarzi dedica le sue attenzioni. (Maria Dolores Pesce | DRAMMA.IT)

DALL'ALTRA PARTE, in prima nazionale nel novembre 2023 all'interno del FESTIVAL APERTO – FONDAZIONE I TEATRI DI REGGIO EMILIA, ottiene nel dicembre 2022 il riconoscimento del 'PREMIO DRAMMATURGIA CONTEMPORANEA E TEATRO DI FIGURA - OTELLO SARZI,' risultando inoltre tra gli spettacoli vincitori del BANDO CURA 2023 - Residenze artistiche interregionali e del progetto di residenza artistica TAD RESIDENCY 2023Lo spettacolo si inserisce all’interno di un percorso artistico interdisciplinare costruito nel solco della scrittura di scena, della ricerca drammaturgica, della commistione tra la danza e il teatro, che negli ultimi anni si è aperto anche all’esplorazione del teatro di figura. Nella consapevolezza che vi siano tematiche particolarmente urgenti che è compito del teatro percorrere nel tentativo di aprire una riflessione sul presente, DALL'ALTRA PARTE, liberamente ispirato all'opera teatrale di Ariel Dorfman, è frutto della volontà di affrontare il delicato e quanto mai attuale tema della guerra e del senso di smarrimento dell’uomo contemporaneo, nel tentativo di esplorarlo mediante un testo di nuova drammaturgia che ben si presta alla commistione di linguaggi. Lo spettacolo è profondamente radicato alla nostra contemporaneità e da essa trae il suo senso, a fronte di un periodo storico che vede accrescere la fragilità dei sistemi politico-sociali e che mette continuamente in discussione valori universali che dovrebbero essere ormai acquisiti, come quello della pace e dell’abolizione dei confiniUna casa separata da un confine, che l’uomo ha deciso a seguito di un temporaneo armistizio, diventa metafora dell’attesa, di un’esistenza sospesa, in bilico tra realtà e illusione, in cui si possono scorgere i resti di qualche vecchio elemento d’arredo, mentre tutto intorno risuonano le voci, i boati, le sirene di un campo di battaglia. Atom e Levana, superstiti di uno scenario quasi apocalittico, sono due tragicomici sposini, impolverati e sbilenchi, riaffiorati dalla ‘porta del tempo’ di un vecchio film muto, riemersi da una valigia piena di ricordi, per raccontarci la storia di un figlio smarrito tra i boati di una guerra di cui non ricordano il nome. Perennemente alla ricerca di un modo per colmare l’assenza dell’amato figlio, Atom e Levana trascorrono il tempo dentro la loro piccola casa rotta, ammaccata e consumata, in attesa che il figlio torni a illuminare di speranza il presente. C’è una guerra dunque, da qualche parte nel mondo, che alimenta una dimensione di costante smarrimento, in cui Atom e Levana sono condotti a vivere una routine scandita dalla monotonia di azioni ripetitive e meccaniche, incarnando di fatto una condizione del tutto umana e attuale. Sebbene indotti a trascorrere la loro quotidianità nella più totale incertezza, Atom e Levana sono mossi dal perpetuo desiderio di ricongiungersi al figlio, di arrivare dall’altra parte, di ricostruire quell’idea di unità familiare che permetta loro di sentirsi nuovamente insieme e in pace. Perennemente in bilico tra ciò che è stato e che non è più, l’esistenza precaria di Atom e Levana ha bisogno di essere reinventata con l’unico mezzo ancora possibile, l’immaginazione: ed è proprio attraverso la loro fulgida immaginazione che i due personaggi riescono a costruire una nuova esistenza, fantasticando le cose più strane e bizzarre, fino a immaginare che i loro abiti dismessi possano dar vita perfino al corpo del figlio lontano. L’idea registica, che sottende la costruzione dello spettacolo, individua idealmente la scansione temporale della pièce mediante una suddivisione in tre atti in movimento (Sempre insieme; Terra di confine; Figlio), all’interno dei quali, attraverso uno stratificato lavoro drammaturgico, scorrono gli snodi narrativi del racconto. Lo spettacolo, frutto di una commistione tra teatro, danza e teatro di figura, mira alla codificazione di un linguaggio ibrido in cui oggetto inanimato e corpo umano possono dialogare, creando molteplici articolazioni con lo spazio scenico ed evocando al contempo differenti piani di realtà, attraverso i quali veicolare le tematiche presenti nell’opera di Dorfman, al fine di suscitare una profonda riflessione sul presente, su noi stessi e sul nostro rapporto con il mondo attuale.

 

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