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PENSIERO

Vi è qualcosa di incomparabilmente intimo e fruttuoso nel lavoro che svolgo con l’attore che mi è affidato. Egli deve essere attento, confidente e libero, poiché il nostro lavoro consiste nell’esplorazione delle sue possibilità estreme. La sua evoluzione è seguita con attenzione, stupore e desiderio di collaborazione: la mia evoluzione è proiettata in lui, o meglio, è scoperta in lui, e la nostra comune evoluzione diventa rivelazione. Questo non vuol dire formare un allievo, ma semplicemente aprirsi ad  un altro essere rendendo possibile il fenomeno di nascita condivisa o doppia. L’attore nasce di nuovo - non solo come attore ma come uomo - e con lui rinasco io. E’ un modo goffo di esprimerlo ma quello che si ottiene è l’accettazione totale di un essere umano da parte di un altro.  (Jerzy Grotowski | PER UN TEATRO POVERO)

E’ partendo da questa riflessione di Jerzy Grotowski risalente al 1968 che provo a interrogarmi oggi intorno al senso del lavoro di creazione e formazione, facendo riferimento a quell’insieme di conoscenze ed eredità grazie alle quali noi oggi possiamo cercare di rielaborare e condividere non solo parte delle metodologie apprese, ma anche quelle memorie in grado di aiutarci a leggere il presente. Consapevole di quanto le radici che ci ancorano al passato siano indispensabili per poter interpretare il presente e per poter quindi immaginare un possibile futuro, percorro da sempre una visione in cui l'atto creativo possa farsi veicolo nella trasmissione di contenuti universali, concreti, vicini al mondo in cui viviamo. E per farlo mi appoggio alla poesia, ai grandi testi teatrali, alle opere musicali e cinematografiche, perseguendo una metodologia di creazione all’interno della quale il testo teatrale si intreccia alla danza, per dare origine a un unico corpo drammaturgico.

In un panorama attuale nel quale i grandi maestri del ventesimo secolo sembrano talvolta quasi ‘dimenticati’, in cui la memoria di ciò che siamo stati si perde nel pulviscolo di un presente spesso impoverito dei riferimenti che lo hanno nutrito e generato (non solo a livello storico ma anche artistico), in cui la forma sembra aver abdicato alla sua funzione principale, ovvero quella di veicolare significati e contenuti intelligibili, ecco che il lavoro di creazione e di formazione dovrebbero, oggi più che mai, aspirare alla fruizione e alla trasmissione di un sistema di pratiche e conoscenze che possa contribuire ad accompagnare le nuove generazioni, future interpreti del nostro tempo, nella costruzione di un pensiero critico, capace di dare voce al proprio corpo pensante.

 

Un corpo pensante è un corpo consapevole, in grado di portare senso dentro la forma, di interpretare ogni possibile azione teatrale con organicità, tecnica e immersione, di attraversare lo spazio connettendosi al presente, è un corpo che sa dialogare con il mondo dell’immaginazione e  al contempo con il reale, che pratica, che ricerca quotidianamente, che stratifica connettendo tra loro le conoscenze acquisite, che rielabora, è un corpo che sta nelle difficoltà e trova il modo di attraversarle, che si cala nella profondità della vita, che accetta l’abisso così come la grazia, che osserva il mondo e desidera raccontarne luci e ombre, che costruisce  il proprio presente  radicandosi  nel passato, che mastica radici, che mette in discussione ciò che ha appreso, che cammina affianco alle orme dei grandi maestri con riconoscenza, per arrivare, con umiltà e pazienza, a definire la propria identità artistica e, prima ancora, la propria autonomia di pensiero, nella consapevolezza che l’accettazione di se stessi è appunto, prima di tutto, accettazione totale di un altro essere umano.

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